Videogiochi violenti: bambini e adolescenti aggressivi

Gabriele Vittorio  > Infanzia e adolescenza, Psicologia Nella Rete, Psicopatologia >  Videogiochi violenti: bambini e adolescenti aggressivi
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Cosa succede dentro le persone quando “giocano” ad uccidere? Far fuori qualcuno nel mondo virtuale di un videogame aumenta le probabilità di sviluppare la violenza verso gli altri?
I giochi violenti sono al centro di accese polemiche tra chi li ritiene responsabili della violenza espressa dai ragazzi e chi, invece, non trova il nesso tra violenza giocata e violenza esperita. E’ facile associare gli eventi di cronaca nera di cui frequentemente si parla all’aumento dei giochi per pc e console in cui è possibile cimentarsi nelle uccisioni più svariate e fantasiose.
Provate questo piccolo gioco:
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Qual è la lettera che manca? *
L’uso di videogiochi ha sempre avuto una larga estensione tra giovani e giovanissimi, ma negli ultimi decenni il fenomeno è cresciuto in modo esponenziale. A crescere non è stata solo la semplice fruizione di videogames (clicca per leggere l’articolo su Pokemon-Go!), ma anche la larga diffusione di quelli considerati violenti.
Secondo l’AESVI (Associazione Editori Sviluppatori Videogiochi Italiani), i titoli più venduti negli ultimi anni sono quelli con tematiche violente ed aggressive.

Ma questi videogiochi influenzano davvero la possibilità di commettere dei crimini? Hanno una ripercussione sulla personalità di chi gioca?

Vediamo cosa dicono alcuni studi:
Christopher Ferguson, un professore alla Stetson University, è uno degli studiosi che si occupano proprio di questo argomento ed è convinto che gran parte degli studi che vengono fatti sull’associazione tra violenza nei giochi e violenza nella vita reale, partano prevenuti. Egli sostiene che coloro che vedono associazioni positive tra le due cose siano persone che non conoscono a fondo la realtà dei giochi presi in analisi.
Brad Bushman, invece, è di una diversa opinione: egli sostiene che i videogames, sebbene non necessariamente generino violenza, portino comunque a sviluppare atteggiamenti aggressivi verso gli altri. Per lui che studia questo fenomeno da poco meno di 30 anni, i videogiochi violenti forse non generano violenza, ma sono un fattore di rischio.
Una ricerca (Markey, Patrick M.; Markey, Charlotte N.; French, Juliana E.)  svolta negli Stati Uniti, infine, ha evidenziato una correlazione inversa tra l’uso di videogiochi violenti, e atti violenti commessi nella vita reale: maggiore era la vendita dei videogame violenti, minore era il numero di crimini commessi. Questo risultato ha fatto emergere la teoria della catarsi: chi usa i videogiochi violenti riesce ad indirizzare e scaricare la propria aggressività nel mondo virtuale, in modo da non usarla poi nella vita quotidiana.

Cosa accade nel cervello mentre, in un videogioco, si gioca ad ammazzare?

Anche se l’atto non avviene fisicamente nella vita reale, per il cervello non cambia nulla (clicca per le 10 curiosità sul cervello): la pressione arteriosa sale e il battito cardiaco aumenta realmente, come se la scena stesse avendo veramente luogo.
Alcuni studi hanno evidenziato una correlazione tra i videogiochi violenti e l’aggressività manifestata, ma questo non suggerisce necessariamente che siano implicati i comportamenti violenti. Essere aggressivi è un conto, essere violenti è un’altra cosa. L’aggressività ha varie sfumature, e alcune di queste si distaccano dal concetto di violenza poiché indicano un modo di essere al mondo, un modo attivo, prorompente, ma che non porta necessariamente ad atti violenti.
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Walt Williams, creatore di videogiochi, ha lavorato ad un gioco uscito nel 2012 dal nome Spec Ops: The Line, in cui la violenza era trattata in modo molto realistico: non proponeva solo uccisioni random e scenari spara-tutto, ma poneva il giocatore dinanzi a dilemmi morali, mettendolo in condizione di domandarsi, interrogarsi e sperimentare su di sé la responsabilità dell’uccisione. Il gioco non ha venduto molto, forse proprio perché i giocatori in linea di massima preferiscono il gioco di fantasia ad un gioco reale. Molti di essi, infatti, non hanno trovato il nesso tra un videogame e la responsabilità di prendere decisioni morali nella vita quotidiana fuori dagli schermi.
Questo elemento fa riflettere: il fatto che le persone preferiscano giocare ad un gioco che sia un gioco di finzione anziché ad un gioco che simuli la realtà, forse è il segno che una buona distinzione tra finzione e realtà esiste e le persone, o almeno i giocatori, ce l’hanno ben presente.
Secondo Bandura (1990), l’uso dei videogame violenti è strettamente collegato al disimpegno morale. In linea con la teoria sociocognitiva dell’aggressività, la fruizione di videogiochi, come anche di determinati programmi televisivi, a tematiche violente, favorirebbe nell’utilizzatore lo scioglimento di regole e principi morali: osservare comportamenti violenti può costituire a sua volta un modello di comportamento. Questo accade nella vita reale, come anche in quella virtuale. Osservare tali comportamenti nel mondo online ha gli stessi effetti della vita quotidiana.
Il disimpegno morale consiste nel non provare vergogna, senso di colpa, rammarico nel contravvenire alle norme sociali e di buona convivenza; ed è una competenza trasferibile dal mondo virtuale al mondo reale.

Chi sono le persone che fanno giochi violenti? Un videogame violento può generare violenza in chi lo usa? O chi sceglie videogiochi simili ha già un background violento che gli orienta la scelta?
Qual è la verità? Cosa succede ai ragazzi che si immergono nei videogiochi a tematica violenta?

Una risposta oggettivamente valida non c’è: molte ricerche sono ancora in corso, ed i loro dati non porteranno a risultati univoci. Nessuno deciderà per certo qual è la relazione diretta -se c’è- tra certi videogiochi e certi comportamenti esibiti.
Ma un imperativo è fuori da ogni dubbio: Conosciamoli.
Chi? I giovani e i giovanissimi che ci circondano. Quelli maggiormente appassionati di videogames. Stare accanto ai ragazzi e addentrarsi, con i loro modi ed i loro tempi, nel loro mondo.
Solo così si possono trarre delle conclusioni fondate sulle ipotesi del collegamento tra emozioni, comportamenti e videogames. Solo accanto a loro, nel loro mondo, è davvero possibile farsi un’idea del significato delle loro esperienze.
E fare la conoscenza anche di quei giochi che tanto separano i giovani dai meno giovani.
I genitori, e gli adulti in genere, conoscono poco di quel mondo che tanto affascina i più giovani: se li conoscessero un po’ di più, aiuterebbero anche i loro ragazzi a capire meglio la differenza tra finzione e realtà, e come sfruttarla al meglio.
I bambini ed i ragazzi per formare la propria personalità ed il proprio sistema di valori adottano dei modelli da imitare, e proporsi come modelli sani è un dovere di ogni genitore, ma anche di ogni membro della società che li accoglie.

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