Quando l’ostaggio prova sentimenti positivi nei confronti del proprio rapitore parliamo di Sindrome di Stoccolma. Chi non la conosce? È una condizione psicologica vissuta da chi non riesce a separarsi mentalmente dal proprio carceriere. Ma non c’è bisogno di essere rapiti per provarla. Può verificarsi anche nei rapporti tra le persone, specialmente quelli di coppia.
Cos’è nello specifico la Sindrome di Stoccolma, quali sono i sintomi e come se ne esce?
Anche se può sembrare un meccanismo romantico, è proprio il contrario: la Sindrome di Stoccolma è una condizione che deriva da un’esperienza traumatica che ha delle ripercussioni sulla psiche della persona che la vive. È molto simile alla dipendenza affettiva, quella condizione che impedisce ad una persona di distaccarsi da un’altra, che ne tiene le redini emotive.
Questa Sindrome deve il suo nome ad un evento specifico risalente al 1973, che vide come protagonisti due rapinatori che tennero in ostaggio quattro persone per ben 131 ore all’interno della camera di sicurezza di una banca di Stoccolma (Sveriges Kreditbank). Una situazione disperata, certo, ma che vide il verificarsi di uno strano fenomeno: gli ostaggi svilupparono dei sentimenti positivi verso i propri carcerieri. Sull’altro versante, provavano sentimenti negativi nei confronti della polizia e di chi li avrebbe poi liberati.
La Sindrome di Stoccolma è quella condizione psicologica in cui la vittima comincia a provare dei sentimenti d’affetto (e spesso d’amore) nei confronti del sequestratore. Questo accade perché la persona è animata da un meccanismo di sopravvivenza che si attiva nei momenti di forte stress. Nello specifico, succede che la persona che si trova a vivere una forte limitazione della propria libertà, per sopravvivere tende a non rispondere più in modo negativo al suo rapitore, proprio per restare in vita.
È così che, al contrario di ciò che si potrebbe immaginare, cercano di stabilire un legame, un certo tipo di contatto emotivo, ovviamente in modo inconsapevole, che si risolve poi in una sorta di attaccamento affettivo. È per questo motivo che non è difficile veder nascere, proprio in condizioni del genere, delle vere e proprie relazioni d’amore tra il rapito e il rapitore.
Come si fa a capire se qualcuno ha la Sindrome di Stoccolma? Bisogna far attenzione ai sintomi, che caratterizzano le sue manifestazioni comportamentali ed emotive:
Alla base delle emozioni provate da chi ha la Sindrome di Stoccolma, si trovano alcuni meccanismi da ricollegare alla relazione di dipendenza, che vede la persona totalmente dipendente dal proprio rapitore e come unico modo per sopravvivere l’instaurarsi di un qualche tipo di legame. La manipolazione mentale portata avanti dal sequestratore, invece, è così forte da andare a cambiare la prospettiva mentale della persona rapita: il continuo contatto fa sì che essa muti il proprio punto di vista per adottarne un altro (quello del suo aguzzino).
Anche il tempo ha la sua fondamentale importanza: più dura la condizione di rapimento, più profondo sarà il trauma e i meccanismi della Sindrome di Stoccolma saranno difficili da interrompere.
La Sindrome di Stoccolma, però, non riguarda solo i rapimenti. Non c’è bisogno di essere oggetto di sequestro per provare un attaccamento emotivo nei confronti dei propri aguzzini. Questo è un modello relazionale che si propone in moltissime storie, anche in assenza di reati conclamati, in modo particolare in quelle relazioni in cui c’è un partner manipolatore, che condiziona mentalmente l’altro, più passivo e remissivo.
Si tratta di quei casi in cui ci si chiede come mai una persona riesca a sopportare un partner manipolatore e svilente e, anziché lasciarlo, continui a manifestare amore ed un forte attaccamento verso di lui.
Come si esce dalla Sindrome di Stoccolma? È difficile, ma non impossibile. Bisogna considerare che, come meccanismo di sopravvivenza, ha delle basi molto forti. In modo particolare se la situazione si è protratta nel tempo. Sono cambiati i meccanismi mentali della vittima ed hanno messo nuove radici. Oltre al supporto familiare e sociale è importante, perciò, un percorso psicoterapeutico che abbia lo scopo di individuare quei meccanismi mentali che si sono attivati e disinnescarli, per ripristinare l’equilibrio della persona, portandola verso una nuova serenità.
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