gabriele vittorio

Perché si parla di Nazifemminismo: l'odio corre sui social

Figlie, mogli, vedove o vergini. Erano questi i ruoli riservati per secoli alle donne. È stato un lungo percorso quello che ha visto protagoniste le donne nel reclamare i propri diritti di essere al mondo. L’emancipazione e l’evoluzione umana fa passi avanti, seppur non può dirsi ancora conclusa. Ad ostacolare questo percorso vi è, però, l’ombra di ciò che si presenta sotto le vesti del “femminismo”, ma non è altro che odio mascherato da buone intenzioni. Perché si parla di Nazifemminismo? In occasione della Festa della Donna, facciamo il punto sul femminismo estremo e le sue conseguenze.

Perché parliamo di “femminismo estremo”?

Con la rivoluzione industriale le donne hanno iniziato il loro percorso lavorativo ed umano: partecipare ai ruoli sociali prima riservati solo agli uomini, conquistare poi il diritto al voto, sia in Europa che negli Stati Uniti, avere un peso sulle decisioni che influiscono sulla collettività. La sfida è stata grande, ed è tutt’altro che conclusa.
I movimenti femministi sono quei movimenti che nascono per portare avanti l’ideale giusto di parità di diritti e doveri tra uomini e donne. I movimenti di ideologia femminista sono diversi e variegati, a seconda dei Paesi di origine e dei principi che portano avanti. Non è questa la sede per trattare tali differenze: ciò che qui interessa è la tendenza all’intolleranza, che può assumere le vesti di qualunque principio, spesso anche tra i più nobili. È la storia di come si può diventare intolleranti in nome della tolleranza. Perché si parla di Nazifemminismo? Cosa ha a che fare il femminismo col nazismo?

 

Diritti delle donne: non solo l’8 marzo

Il primo passo per cambiare una situazione è ammettere la sua esistenza. Ammettere, cioè, che c’è un problema. Per iniziare un cambiamento serve che la maggior parte delle persone riconosca il problema come reale. Non solo le donne, quindi, debbono riconoscere una struttura sociale che le penalizza, ma anche gli uomini sono chiamati a questo compito: riconoscere l’esistenza di uno squilibrio ed essere disposti ad abdicare alla propria supremazia, per far spazio all’inclusività.
La Teoria degli Studi di Genere è basata sul raggiungimento dell’uguaglianza dei diritti sociali e politici di donne e uomini, senza annullare le preziose differenze tra i generi. Lo scopo è quello di migliorare la struttura sociale, grazie ad una maggiore inclusività e all’abbattimento di stereotipi e pregiudizi di genere deleteri.

Perché si parla di Nazifemminismo? l'odio della rete

Ma, in modo particolare nell’ultimo periodo, anche a causa dell’uso distorto delle tematiche femministe attraverso i social media, si sta dipingendo un quadro tutt’altro che positivo: si tende ad imporre la supremazia di determinate categorie sociali a discapito di altre.
Grazie anche all’intervento dei social media, il Femminismo oggi è narrato e agito nelle sue forme e declinazioni più svariate. Una di queste narrazioni è quella del marketing: i principi del femminismo e i diritti delle donne sono entrati all’interno del mercato e molte aziende su di essi intessono le loro strategie commerciali e di personal branding.
Una narrazione più pericolosa del marketing è, invece, quella dell’odio.
Perché si parla di Nazifemminismo? Sulle piattaforme social si sta assistendo all’allontanamento progressivo dai principi di uguaglianza e libera scelta, per abbracciare una condotta di intolleranza, mascherata da lotta per i diritti.

Femminismo estremo e social media

Ed è così che ci ritroviamo a far emergere i diritti delle donne contro quelli degli uomini. Sembra che qualcuno, autodichiarandosi femminista, voglia far pagare agli uomini odierni secoli di soprusi di cui, oggi, né gli uomini né le donne hanno colpa.
Grazie alle dinamiche social, si creano delle bolle di realtà fatte di intolleranza in cui rientrano quelle persone che, dietro la maschera del femminismo, mettono in atto condotte di odio e intolleranza verso gli altri.
Chi sono questi altri? Gli uomini? Non solo. I destinatari dell’odio in nome dell’inclusione sono tutte quelle persone, uomini ma anche donne, che non aderiscono ai precetti del politically-correct.
La clessidra dei generi si è ribaltata: al posto di assumere la forma dell’infinito proponendo un equilibrio orizzontale tra i generi, si è completamente capovolta, proponendo ancora una volta una posizione di supremazia.

La superiorità di un gruppo

Si sta forse esaltando la superiorità della donna? Apparentemente sì, ma in realtà no. Si sta esaltando la superiorità di qualcuno a discapito di qualcun altro, qualsiasi sia il suo genere di appartenenza. È quanto emerge dalle condotte dei gruppi social, che si scagliano contro chiunque non assuma il loro stesso comportamento ed il loro linguaggio inclusivo.
La conseguenza è quella di invisibilizzare e censurare tutto ciò che non rispetti le loro regole. È per questo che si parla di Nazi-femminismo: un femminismo che contiene il seme dell’odio verso l’altro, in favore di una sola categoria di persone, che non sono più le donne, ma gli appartenenti al proprio gruppo, alla propria bolla sociale.

Psicologia delle masse e condotte potenzialmente criminali

È così che una questione sociale, come quella dei diritti delle donne, diventa una questione di odio personale e un pretesto per esprimere frustrazione ed aggressività verso l’altro, verso colui o colei che appartiene ad un gruppo differente dal proprio.
Ciò che viene chiamato “femminismo” oggi, nelle sue declinazioni più intolleranti, sta alimentando un’idea di politicamente corretto che ormai pervade ogni sfera della vita e va oltre i generi, postulando l’idea di un gruppo elitario, meritevole di diritti, contro tutto il resto del mondo, che va punito e adombrato.
È così che la propria visione del mondo, la propria opinione e la propria individualità, subiscono il limite della censura e della segregazione.
Ma non erano forse questi gli spauracchi sociali che si voleva combattere in origine?

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