Positività Tossica: come essere felici e altre trappole mentali

Con Toxic Positivity (Positività Tossica) ci si riferisce alla cultura della positività, dell’ottimismo e della felicità che genera aspettative irreali. Oggigiorno siamo circondati da guru del benessere, personal coach del fitness, dell’alimentazione e del wellness psicofisico. Ma, al proliferare di queste realtà, emerge una curva della tristezza e dell’insoddisfazione sempre più ampia. Come mai? Indaghiamo il mito della positività tossica.

Felicità a tutti i costi

I social traboccano di foto bellissime che ispirano felicità, allegria, divertimento. Molti influencer grandi e piccoli, come molti utenti comuni, pubblicano continuamente testimonianze di vita dorata, per dare di sé un’immagine positiva, di felicità.
Se da un lato vedere la felicità altrui stimola fantasia e desiderio, dall’altro genera frustrazione in chi non la prova. È così che arrivano allora domande come Perché non sono felice allo stesso modo? Cosa manca alla mia vita per raggiungere questo stato di felicità che gli altri hanno e io no?.
Dire che non tutti sono felici e non è tutto oro ciò che luccica, è tanto vero quanto scontato, poiché non basta per convincerci della realtà delle cose per sfuggire a certe trappole mentali. Bisogna tirare in ballo e sviscerare quella che si chiama Toxic Positivity, Positività Tossica, una forma di apparente positività che si prefigura come un obiettivo irraggiungibile e, di conseguenza, portatore di frustrazione e malessere.

Positività Tossica e psicologia delle masse

La Toxic Positivity è quel concetto di felicità forzata che favorisce la nascita di frustrazione e colpevolezza in chi non la vive.
Confrontarsi con gli altri è una dinamica naturale nell’essere umano: non si può far a meno di fare paragoni con gli altri e con il proprio gruppo di appartenenza. Il gruppo è una risorsa importantissima per il singolo e per la società ma, allo stesso tempo, può essere fonte di frustrazione. Il confronto con gli altri fa nascere dubbi e interrogativi e orienta le azioni del singolo.
Se tutti sembrano continuamente felici e positivi e cercano di trasmettere il Verbo della felicità agli altri, il singolo tenderà a volersi uniformare, ricercando a sua volta quel senso di felicità ed appagamento permanente. Questo, inevitabilmente, genererà grande frustrazione per un obiettivo che non sarà mai pienamente raggiunto.

Quanto dura un’emozione?

Essere felici non è una condizione naturale. La felicità, come pieno appagamento continuo dell’esistenza umana, non è un’emozione plausibile e non può essere la condizione umana di base.
Le emozioni, per loro stessa definizione, sono delle attivazioni di breve durata in risposta ad un evento. Il ruolo delle emozioni (sia positive che negative) è quello di permettere l’adattamento alla realtà ed una reazione funzionale agli eventi, volti alla sopravvivenza.
Le emozioni legate alla frustrazione, come la rabbia o la paura, hanno un loro ruolo specifico: permettono un’azione che altrimenti non sarebbe possibile. Le emozioni tutte, nessuna esclusa, dalle più belle alle più brutte, hanno un ruolo evolutivo e ci permettono di continuare a vivere.

La felicità non è un obiettivo

Essendo le emozioni degli stati intensi e di breve durata, non possono essere mantenute a lungo.

Se ci si prefigge lo scopo di raggiungere la felicità costante, è ovvio che si resti poi delusi e si viva la frustrazione di non essere mai felici. È così che si guarda la felicità altrui e ci si domanda perché noi non riusciamo ad esserlo allo stesso modo, cosa stiamo sbagliando e cosa ci manca. Si cade in una spirale fatta di mancanze e svalutazione di sé attivando, al contrario, il meccanismo della tristezza cronica.
La verità è che se l’obiettivo che ci si prefigge è quello di essere felici, si sta sbagliando obiettivo. Perché capiterà sempre, e a tutti, di vivere esperienze che donano frustrazione, rabbia, paura, risentimento e senso di vuoto. Cercare di allontanare da sé questa eventualità in nome di una Positività Tossica, produce l’effetto contrario.

Positività Tossica: lo stato di grazia esiste, ma non è quello che pensi

La felicità, come la gioia, esiste, ma è uno stato temporaneo, esattamente con gli altri stati. Come qualsiasi altra emozione, anche la gioia perde di intensità e svanisce. Il suo posto verrà preso dalla rabbia, o dalla paura, o da qualsiasi altra emozione richiesta dall’esperienza del momento.
Non è colpa di nessuno, è semplicemente l’andamento della vita ed il funzionamento del corpo e della mente.
Non è possibile vivere una vita sempre e pienamente felice, come non è possibile viverne una costantemente preda della tristezza. Prima si accetta questa realtà, meglio sarà per la stabilità della propria psiche.

Come uscire dalla trappola della positività tossica?

Lo scopo di molti percorsi di psicoterapia, infatti, è quello di portare la persona a distaccarsi dall’idea di quella felicità tossica vista sul volto (e sui social) altrui, per raggiungere una maggiore consapevolezza di sé, del proprio funzionamento e delle proprie potenzialità. Optare per una vita fatta di esperienze è più fattibile, nonché più soddisfacente, del miraggio di una vita “felice”.
È così che si smette di rincorrere una vita fatta di un agognato benessere transitorio ed instabile, in favore di una vita pienamente vissuta, che accoglie e sa elaborare ogni tipo di sfumatura emotiva, senza il rifiuto di ciò che esula dalla felicità.

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